Le nuove abitudini e il paradosso evolutivo
Introduzione
Negli ultimi 70 anni, l’umanità, grazie al “progresso” tecnologico, ha cambiato più abitudini che in tutta la storia evolutiva.
Per millenni o, addirittura, milioni di anni, le nostre abitudini sono state molto simili e questo ha permesso all’essere umano una specializzazione e un perfezionamento incredibili, in modo da poter essere pronto ad affrontare le difficoltà che avrebbero potuto portarci all’estinzione.
Le principali difficoltà che hanno caratterizzato la nostra evoluzione sono state la carenza di cibo necessario per sopravvivere, la capacità di superare malattie, infezioni e ferite, la presenza di sufficienti doti fisiche per difendersi dalle aggressioni di animali o simili, l’isolamento (senza un compagno o una compagna la specie si estingue) e la resistenza a condizioni ambientali sfavorevoli.
Tutte queste situazioni si sono ripresentate ciclicamente e hanno permesso una selezione della specie sempre più efficiente.
Nel tempo, abbiamo sviluppato meccanismi difensivi automatici per proteggerci dal rischio di estinzione.
Abbiamo imparato come accumulare grasso per sopportare carestie prolungate e abbiamo meccanismi di protezione dal pericolo che, senza bisogno di coscienza, inviano ai nostri ormoni il segnale per attivare un cambiamento fisiologico utile ad avere più forza e più aggressività per combattere in caso di aggressione e salvarci la vita.
Il nostro intestino ha imparato a conoscere, grazie alla collaborazione del palato e dell’olfatto, i cibi migliori e quelli più pericolosi e abbiamo l’infiammazione acuta come risposta per difenderci dall’ingresso di patogeni.
Per tamponare le ferite che spesso ci procuravamo nell’antichità, abbiamo disponibili le efficientissime piastrine, che provvedono a minimizzare, grazie alla capacità coagulante, la perdita di sangue, indispensabile per la nostra sopravvivenza.
Tutta la fisiologia umana è perfezionata da millenni di comportamenti ed è finalizzata a una sola cosa: farci sopravvivere!
Per farlo, ha perfezionato meccanismi di auto-cura e di economia straordinari. Niente viene sprecato e tutto tende ad adattarsi per garantirci le migliori condizioni per la sopravvivenza.
Ma cosa succede se, improvvisamente, come abbiamo fatto negli ultimi 70 anni, l’essere umano abbandona le abitudini seguite per millenni a favore di nuove abitudini?
Succede che, nonostante i meravigliosi adattamenti epigenetici possibili, l’organismo, nella sua interezza, compresi il cervello e il suo sistema limbico, continua a lavorare come ha sempre fatto, inviando automaticamente messaggi e risposte fisiologiche conformate sulla nostra evoluzione. Non è in grado di interpretare questo cambiamento. Infatti, 70 anni, paragonati a oltre 30.000.000, la durata della nostra evoluzione, sono un periodo infinitesimale, non in grado di provocare, allo stato attuale delle conoscenze, modificazioni sostanziali.
Il problema paradossale
Così, il corpo continua ad accumulare grasso fino a creare situazioni disfunzionali alla vita stessa, creando, al nostro interno, un vero e proprio organo pro infiammatorio (1), non riuscendo a capire che l’essere umano si è fermato volontariamente e che, per la prima volta nella storia, una parte del mondo non subisce carestie, ma, al contrario, ha disponibilità di cibo illimitate, in gran parte ipercalorico ed estraneo al ciclo naturale, e interpreta questa fase come un momento di grande abbondanza e accumula sapientemente l’eccesso per prepararci alla prossima carestia.
Gli zuccheri tanto ambiti in passato per l’energia a pronto uso che donano, in un mondo sempre più sedentario che non consuma energie, sono diventati, anziché una preziosa risorsa, un drammatico problema (2) (anche nei paesi del terzo mondo!).
Anche l’intestino reagisce come natura comanda all’ingresso di sostanze sconosciute potenzialmente pericolose, come i cibi trasformati, gli interferenti endocrini, i coloranti e i conservanti, reagisce con l’unico sistema che conosce, l’infiammazione, ma, in questo caso, non con un’infiammazione acuta, che provoca coliche e lo svuotamento rapido del tratto intestinale, ma con una più subdola infiammazione, meno evidente, di tipo sistemico, detta, per questo, di basso grado o silente. Questa infiammazione silente tende a cronicizzarsi ed è propedeutica a un indebolimento progressivo e a una perdita di efficacia di tutte le numerose funzionalità che l’intestino possiede (3).
Lo stesso meccanismo viene provocato dall’abuso di farmaci, perché, dopo averci allungato la vita di quasi trent’anni, come nel caso degli antibiotici, salvandoci da infezioni batteriche, il loro uso spropositato e non giustificato (circa l’80% di tutti gli antibiotici prodotti viene usato per animali da allevamento che, poi, finiscono sulla nostra tavola) ha finito per creare nell’organismo antibiotico resistenza, rischiando di annullare i benefici conquistati da decenni di ricerca scientifica (4).
Per non parlare dell’abuso di farmaci da banco, utilizzati per spegnere sul nascere i primi sintomi di disagio espressi dall’organismo.
La stessa cosa accade a danno dei sistemi muscolare, osteo articolare e cardio vascolare; la sedentarietà non è prevista dentro di noi e il segnale di abbandono del corpo (la sedentarietà manda questo impulso) fa sì che le nostre cellule si rigenerino meno e meno efficacemente (5).
La mobilità e la capacità di scattare, arrampicarsi o fuggire sono attività che mandano impulsi vitali a tutte le cellule, comprese quelle del cuore, del cervello e dell’intestino; adagiarsi su divani e poltrone a oltranza equivale a spegnere l’interruttore della vita, innescando, così, un ciclo vizioso che inizia a contaminare l’intero organismo partendo dalla singola cellula (6).
Pensiamo alle piastrine, a quante volte nel passato ci hanno salvato, impedendo che perdessimo la vita dissanguati. Loro continuano a fare il loro lavoro, preparandosi a intervenire ad aggregare il nostro sangue per evitare emorragie dovute a ferite da combattimento o a graffi accidentali, ma, senza ferite e sanguinamenti frequenti, il loro prezioso lavoro aggregante, su un corpo sedentario, diventa disfunzionale e, addirittura, pericoloso, costringendoci, in molti casi, a prendere sostanze antiaggreganti.
Il sistema nervoso simpatico, la cui attivazione prevalente nasce per prepararci a far fronte alle emergenze, è sovrastimolato, finendo per far diventare l’eccezionalità una nuova normalità, ma questo non è previsto nel nostro codice evolutivo e provoca danni alla salute (7–9).
Anche la cronobiologia continua a seguire il ritmo sonno-veglia, preparandoci in anticipo con i dosaggi ormonali rispetto alle attività da svolgere e al riposo notturno. Non è in grado di interpretare la differenza tra luce naturale e luce artificiale, non capisce che oggi lavoriamo di notte e spesso dormiamo di giorno e va in confusione, generando chrono disruption (10).
Discussione
Questi sono alcuni dei moltissimi esempi che ci dicono che il “progresso e la modernità” ci stanno esponendo a un terribile paradosso: gli strumenti che l’evoluzione ha perfezionato per salvarci la vita stanno diventando i nostri peggiori nemici, un messaggio in visione prospettica veramente preoccupante.
Al contrario della mente, il corpo non riesce a evolversi così velocemente e la sua chimica è dettata, come abbiamo visto, da meccanismi ancestrali pre determinati e non modificabili nel breve periodo.
Per la prima volta, infatti, nella storia dell’umanità, l’aspettativa di vita ha smesso di crescere e inizia a diminuire; contemporaneamente, gli anni di vita in salute (proprio nei paesi in cui le condizioni igienico sanitarie e socio economiche sono ottimali) diminuiscono velocemente, creando intere generazioni di patologici cronici (in Italia, il 40% dell’intera popolazione).
Abbandonare un percorso durato oltre 30 milioni di anni è pericoloso per diversi motivi, perché le nostre abitudini, oltre a incidere sul livello di salute umano, impattano fortemente, come abbiamo visto, anche sull’ecosistema.
Per ottenere un maggiore confort, come, per esempio, un grado di temperatura in più nelle abitazioni in inverno da 18 a 19 gradi, si producono incrementi significativi di emissioni di CO2 e polveri sottili, così come l’attuale consumo di carne di 80 kg/anno a persona richiede un consumo di acqua e di risorse vegetali non sostenibile e contribuisce all’emissione dei gas serra; o, ancora, si possono citare la perdita di bio diversità dovuta all’utilizzo di suolo dedicato a monocolture industriali che hanno sostituito sulla nostra tavola verdura e ortaggi prodotti col sistema tradizionale a Km 0 e la sostituzione di cibo vero con l’uso di cibi molto raffinati privi di fibre e nutrienti (9).
Come armonizzare la velocità del progresso tecnologico e l’incremento demografico con i ritmi e i tempi degli ecosistemi e dell’organismo umano in modo da trovare un compromesso sostenibile?
Oggi è chiaro, sia grazie alla ricerca che all’osservazione, che non possiamo abbandonare più di tanto la strada che ha consentito la nostra evoluzione, tanto più nel periodo storico in cui la crescita demografica ci ha portato da meno di due miliardi di abitanti del 1900 ai quasi otto miliardi del 2021; ciò non è sostenibile per il nostro organismo e, soprattutto, per il pianeta.
Esseri umani, animali ed ecosistemi sono strettamente connessi tra loro e hanno i tempi della natura, dettati dalla storia; mai prima d’ora, l’uomo si era contrapposto alla natura abusandone, alterando equilibri millenari e utilizzando più risorse di quelle che la stessa può rigenerare in un anno (11). La stessa cosa la stiamo vedendo sul corpo umano, costretto ad abitudini all’apparenza confortevoli, ma disfunzionali alla sua stessa sopravvivenza (12), ma divenute ormai abitudini consolidate in parte della popolazione mondiale, come l’isolamento provocato dall’abuso di tecnologia, che, anziché avvicinarci, finisce per toglierci le poche occasioni di contatto umano.
Tutto diventa abitudine e questo concetto cela dietro di sé un grande pericolo; abitudine vuol dire agire senza pensiero e, quindi, smettiamo di valutare i rischi a lungo termine di quel comportamento. La storia è piena di culture o di specie estinte a causa di errori di valutazione.
La soluzione
La soluzione passa, prima di tutto, attraverso la capacità di saper di nuovo utilizzare il corpo e di sfruttare a tutte le età la sua funzionalità, la saggezza millenaria che custodisce e la capacità di saper ascoltare i messaggi che la nostra biologia ci invia per indicarci la strada, non ultima quella di restare connessi con gli altri e con l’ambiente grazie a logiche di comunicazione ancestrali, oggi sempre più studiate dalla fisica quantistica e dalle scienze del benessere.
Per almeno 70 anni, abbiamo inseguito una crescita economica senza freni e senza praticamente nessuna attenzione reale all’impatto che le pratiche ad essa connesse provocavano sul pianeta e sui delicati equilibri che regolano gli ecosistemi.
Tutte le tonnellate di concimi chimici e di pesticidi per evitare muffe insetti o imperfezioni nella frutta e nella verdura, però, le ritroviamo in piccole dosi nella nostra alimentazione e nell’acqua che beviamo (13), allo stesso modo, le sostanze tossiche scaricate nell’atmosfera ci troviamo, poi, a respirarle sotto forma di particolato ultrasottile, benzene, idrocarburi, pm 2,5 e pm 10.
Per avere sufficiente sabbia da costruzione dopo aver dragato tutti i fiumi possibili, siamo passati al prelevamento di sabbia marina, creando scompensi tali da rischiare di far scomparire intere isole.
Ogni forma di violenza impartita all’ecosistema, oggi lo sappiamo con certezza, si ritorce contro di noi con forza per ricordarci che siamo ospiti sul pianeta e non padroni.
Abbiamo, dentro di noi, la mappa per uscire dal problema ed evitare di cadere in un precipizio; umani e natura si sono evoluti in simbiosi e, in caso di competizione (come stiamo facendo da 70 anni o poco più) tra umani e ambiente, il vincitore sarà chiaramente l’ambiente, che finirà per estromettere l’essere umano.
Servono un cambiamento di approccio e una nuova sensibilità, che ci porti a riscoprire un percorso già scritto dentro di noi dall’evoluzione e abbandonato da pochi decenni e che ci riporterebbe in qualche modo a quell’equilibrio che avevamo con l’ambiente.
Le sane abitudini sono, infatti, incise dentro di noi per motivi evolutivi da milioni di anni e lavorano costantemente per riequilibrare la nostra chimica organica al fine di mantenere l’omeostasi al nostro interno e con l’ecosistema complesso che ci accoglie; è solo la nostra mente che ha pericolosamente corso troppo in avanti, ignorando quella fisiologia che dovrebbe continuare a dettare le regole per salvare noi e il nostro habitat.
L’abbandono di comportamenti perseguiti da millenni porta a una variazione delle produzioni ormonali che, a loro volta, influenzano i nostri comportamenti sia individuali che collettivi, decidendo se avremo più comportamenti pro sociali o di chiusura (14), più o meno aggressività e più o meno empatia e sensibilità verso la natura e i suoi componenti; insomma, il micro diventa macro.
Come dimostrano importanti studi, le persone che non hanno a cuore la propria salute sono più inclini ad avere comportamenti e abitudini disfunzionali anche alla crescita e alla coesione sociale.
La sedentarietà, infatti, non è un problema solo di salute, ma è, bensì, un problema sociale (15,16).
Il corpo custodisce tutto e tutto accade nel corpo e restituirgli dignità e ascoltarlo di più appare un passaggio fortemente auspicabile, per non dire indispensabile, al fine di evitare di vedere completato il paradosso e di scatenare un suicidio di massa, usando contro noi stessi le armi che ci avevano consentito di vincere sino a oggi la sfida evolutiva (17,18).
Fonte Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi
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